Il rifugio Grauzaria (Marco Bellina, aprile 2012)

Me ne avevano parlato molto bene alcuni amici, tempo addietro, stuzzicando la mia curiosità.

Poi un giorno ho incontrato Federico, il gestore, al quale ho chiesto se quanto si diceva fosse vero.

Vieni su e vedi con i tuoi occhi – mi disse – non appena la stagione lo permetterà: siamo a quota 1250 metri!

Ai primi di aprile di quest’anno ci siamo sentiti al telefono. Domattina salgo al rifugio..se vuoi venire su.. – Non me lo sono fatto ripetere due volte e subito abbiamo concordato punto d’incontro, ora e programma.

L’aria è fresca. Lasciamo l’auto al parcheggio, da dove – poco lontano – un montacarichi collega e fornisce al rifugio i viveri, i medicinali e la posta, ma che - all’occorrenza - trasporta anche gli zaini dei visitatori.

Ora il percorso sale lento per una buona mezz’ora.

Lasciamo l’ultima borgata ammirando lungo la carrareccia le creazioni in legno esposte da uno scultore trentino che qui vive con la famiglia.

Imbocchiamo un sentiero largo ma erto che s’inoltra nel bosco ceduo.

Man mano che si sale la vegetazione cambia: alla faggeta segue un bosco di conifere.

Zona di funghi! - osservo alla mia guida. Sì , se la stagione è propizia – mi risponde, poi precisa – e se i proprietari dei fondi non li hanno già raccolti!

Sorrido alla battuta. Poi – ansimando - rifletto sul mio “essere cercatore di funghi” e come, con il passar del tempo, quanto vivido sia rimasto solo lo stimolo di camminare che il reale interesse per i funghi.

Ecco raggiunto e superato il saliente, scorgiamo i ruderi alpestri - casere o baite - che un tempo sorgevano al margine del sentiero. C’è un breve pianoro dove crescono rigogliose piante di lampone e alberi da frutto inselvatichiti: tra questi riconosco antichi condotti di raccolta dell’acqua piovana. Penso alle generazioni qui avvicendate nelle umili e faticose attività montane e il ricordo corre alla mia gioventù, quando trascorrevo le vacanze in modo similare e anche alle fatiche sopportate, con spensieratezza e fiducia.

Ora il percorso mi sembra meno impegnativo, forse perché l’attenzione è attratta dal panorama che si dispiega man mano che si sale, tanto bello da togliere il respiro.

Davanti a noi sta il massiccio della Grauzaria , maestoso, granitico. Volgendoci indietro s’apre il grandioso scenario delle Prealpi Giulie.

Il cielo è terso, il sole è già alto, ma l’aria è fina e fresca. Nei tratti in ombra, sul sentiero calpestiamo lastroni di neve pressata.

Il rifugio è ora bene in vista.

Sostiamo brevemente davanti a una lapide che ricorda una giovane vita stroncata da improvvisa disgrazia nel primo dopoguerra.

Una ragazza di Trieste, salita per una escursione, venne sorpresa da un’alluvione in prossimità del torrente che scende dal massiccio della Grauzaria.

Arriviamo al rifugio.

Noto subito un corpo più antico al quale si è aggiunto, successivamente, un nuovo, moderno.

Federico conferma e mi mostra le foto che documentano le due fasi di costruzione.

L’interno è sorprendentemente ampio e ben attrezzato per accogliere una trentina di escursionisti.

Con il bel tempo – soggiunge il mio amico – possiamo accomodare altrettanti ospiti sui tavoli e sulle panchine della terrazza esterna.

Salgo al piano superiore e vedo il salone-dormitorio con i letti a castello affiancati, poi i servizi e infine ridiscendo prima verso la cucina, attrezzata e moderna, e quindi alla dispensa dei viveri. L’impianto fotovoltaico in dotazione fornisce energia sufficiente per la gestione corrente, ma c’è anche quello tradizionale a motore a scoppio.

Mi accorgo che il mio telefono cellulare Wind non ha “campo”, ma quello Tim di Federico, è servito a dovere. Ci apprestiamo a ridiscendere.

In un’ora e mezza, proseguendo a nord lungo il sentiero, avremmo guadagnato il passo che si affaccia sull’abitato di Dierico.

Altri sentieri portano alle cime che si stagliano alte intorno.

C’è silenzio. Il vento soffia molto in alto verso sud e appena scompagina la bianca scia di un aereo di linea che, giunto sopra il monte Plauris, vira a levante.

Non scorgo selvaggina, né s’ode canto di uccelli – osservo.

Si appressano tutti quando siamo stabili nel rifugio – risponde Federico, mostrandomi l’orticello di montagna recintato a difesa dei caprioli – e si fanno sentire.

Alla sera scende la pace, ma riprendono già presto all’alba.

Man mano che scendiamo, il rumore del traffico veicolare di fondovalle si fa più nitido.

Un’ora dopo saliamo in auto, stanchi ma felici.

Mentre l’auto discende i tornanti, penso già a quando potrò ritornare, ma con più calma e più a lungo.

 

 


Figura 1 - Il rifugio visto da sud, sullo sfondo la Grauzaria (foto P. Bellina). 

 


Figura 2 - Sala interna superiore del rifugio (foto P. Bellina). 

 


Figura 3 - Veduta sulle Prealpi Giulie (foto P. Bellina).